Peste, guerra e carestia. Sembra una frase che eravamo abituati a leggere a scuola solo sui libri di storia, invece è tornata molto attuale anche in questi giorni. Con la fine della fase emergenziale del covid e i problemi sulle catene di approvvigionamento da questo causato, la forte ripartenza dell’economia mondiale aveva già creato pressioni inflazionistiche sulle materie prime, dal petrolio, ai metalli, ai prodotti agricoli. Lo scoppio del conflitto in Ucraina sta ora amplificando l’effetto inflazionistico generale, in particolare riguardo ai prodotti agricoli, il cui forte aumento dei prezzi può avere conseguenze geopolitiche destabilizzanti, soprattutto nei paesi più poveri dell’Africa fortemente dipendenti dalle importazioni di cibo. Su questa situazione si inseriscono anche fattori climatici e congiunturali specifici non favorevoli. Durante il 2021 una forte siccità ha ridotto la produzione di grano primaverile negli USA e in Canada, mentre alluvioni da record in Cina hanno danneggiato e ritardato la semina del grano su circa un terzo della superficie coltivabile destinata, provocando un aumento dei prezzi del grano sui mercati internazionali.

L’Ucraina fornisce oltre il 10% di tutte le esportazioni globali di grano, il 14% di mais, il 17% di riso e il 51% di olio di girasole. Il conflitto ha generato conseguenze nell’immediato limitando i trasporti e provocherà problematiche future sulle coltivazioni. Secondo i dati della Banca Mondiale, circa il 90% delle esportazioni di grano avvenivano tramite i porti del Mar Nero e si stima che solo meno della metà delle esportazioni ucraine annuali possa transitare via terra considerando i rallentamenti e i danni alla rete stradale e ferroviaria e comunque a costi maggiori che in passato, considerando anche gli incrementi dei premi assicurativi sui carichi. La situazione militare, inoltre, sta fortemente condizionando il raccolto per il prossimo anno. Il mais (per il quale il Dipartimento dell’Agricoltura USA (USDA) in marzo stimava una riduzione delle esportazioni del 18% nel 2022), la soia e il girasole sono piantati in aprile-maggio, mentre il grano nel periodo da settembre a metà novembre. La mancanza di forza lavoro, carburante, fertilizzanti, la distruzione di attrezzature agricole e i rischi legati alla sicurezza ridurranno la produzione agricola per la prossima stagione tra il 25% il 50% secondo i dati riportati della Banca Mondiale. In base ai dati USDA le aree di maggiore produzione di grano sono quelle di Charkiv, Dnipro, Zaporizhia e Odessa (nell’est e nel sud del paese), mentre la produzione di mais si concentra nelle regioni di Poltava, Sumy e Chernihiv (nel nord-est). Poiché si tratta quasi sempre di aree caratterizzate da un forte scontro militare, è facile immaginare quanto questo possa condizionare i raccolti per il prossimo anno. Secondo la FAO tra il 20% e il 30% della superficie ucraina coltivata a cereali invernali, mais e semi di girasole non verrà seminata o rimarrà senza raccolto durante la stagione 2022/23. Ulteriori problematiche future potrebbero derivare dalla perdita di terreno coltivabile in seguito ai bombardamenti e alla riduzione di fertilità del suolo.
In aggiunta ad una ridotta produzione, bisogna considerare anche i costi aggiuntivi di quella realizzata e gli impatti anche sulle altre componenti della catena alimentare. La Russia è il più grande esportatore mondiale di fertilizzanti, i cui prezzi già fortemente cresciuti nel 2021, sono schizzati nel 2022 ai massimi storici. Sebbene a livello mondiale le importazioni dei vari paesi (con piccole eccezioni quali Serbia, Azerbaijan, Moldova, Finlandia) sono abbastanza diversificate, quindi non c’è un rischio di forniture dirette dalla Russia, prezzi assai alti produrranno un inevitabile aumento dei costi di produzione (USDA stima che i fertilizzanti rappresentino storicamente il 35% del costo marginale di produzione di grano e mais). Mais e orzo sono molto utilizzati nell’allevamento del bestiame (ad esempio, il mais rappresenta circa il 60% del costo di allevamento dei polli) e l’aumento dei loro prezzi va ad influenzare anche il costo delle carni di maiale, pollo, tacchino.
Un effetto geopolitico non trascurabile di una minore disponibilità e a maggiori prezzi di prodotti agricoli è legato alle problematiche di carattere sociale nei paesi più poveri, in particolare nel Nord Africa. L’Algeria è in maggior importatore di cibo in Africa con il 75% del totale del suo fabbisogno, mentre la Tunisia è al 70% e il Marocco a oltre il 50%. In termini di maggiore dipendenza diretta dall’Ucraina, i principali paesi sono Libano, Tunisia ed Etiopia con, rispettivamente, il 64%, 49% e 31% delle loro importazioni di grano. Anche Egitto, Mauritania, Marocco, Uganda e Giordania ricevono dall’Ucraina più del 20% di tutte le loro importazioni.

Tensioni sociali in queste aree, legate a un aumento del prezzo del grano, non sono una novità come ci ricordano le “rivolte del pane” in Egitto nel 1977, lo sciopero generale in Marocco nel giugno del 1981, le rivolte in Tunisia del 1983-84, senza dimenticare le primavere arabe iniziate in Tunisia a fine 2010 e allargatesi nel Medio Oriente e in Nord Africa nel 2011. Infatti, al fine di prevenire tensioni sociali, i prezzi dei principali beni alimentari sono calmierati da parte dei governi. Tuttavia, come ci ricorda l’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale), aumentano i timori sulla effettiva capacità di tali governi nel continuare a fornire sussidi adeguati per calmierare i prezzi nel lungo termine proprio a causa del limite ai budget pubblici, la lenta ripresa economica dopo la pandemia, l’effetto del conflitto in Ucraina, le problematiche dei cambiamenti climatici sulle produzioni agricole mondiali. I segnali di allarme sono già evidenti. In febbraio il primo ministro egiziano ha annunciato che aumenterà il prezzo del pane per la prima volta dagli anni ’80. In Algeria ci sono stati mesi di protesta da parte dei panettieri che hanno visto ridursi i propri margini di profitto mentre in Marocco migliaia hanno protestato per l’aumento dei prezzi dei beni alimentari di prima necessità. Ovviamente l’effetto inflattivo sui generi alimentari coinvolge anche i paesi più ricchi: in Grecia, di recente, in migliaia hanno protestato per chiedere un aumento dei salari contro l’inflazione, in Francia la Le Pen ha guadagnato consensi nelle periferie proprio sul tema dell’aumento del costo della vita, nel Regno Unito il premier Johnson è stato recentemente sconfitto nelle elezioni legislative locali in presenza di un’inflazione ai massimi degli ultimi 30 anni, mentre in Italia l’ultimo decreto del governo ha finanziato un bonus di 200 euro contro il carovita per tutte le categorie sociali con redditi sotto i 35mila euro.
Negli USA la voce “cibo” contribuisce al 15% del paniere dell’inflazione (5% il carburante) e una simile composizione si riscontra nei paesi europei. L’aumento dei costi delle materie prime alimentari ed energetiche spingerà quindi l’inflazione anche per i prossimi mesi. E’ evidente che, se nei paesi maggiormente sviluppati e ricchi, il forte livello di risparmio, cresciuto nel periodo pandemico, contribuirà ad attenuare gli effetti di disagio sociale sulla popolazione, con i governi focalizzati maggiormente su politiche redistributive in favore delle fasce sociali più deboli, nei paesi più poveri, i cui governi sono già gravati da restrizioni di budget (secondo la Banca Mondiale, poco prima che scoppiasse il conflitto in Ucraina, circa il 60% dei paesi più poveri erano già in difficoltà legate al debito pubblico o ad alto rischio di avere difficoltà ad esso connesso), i problemi economici e sociali saranno molto maggiori.
Cosa dunque aspettarci relativamente a questa crisi alimentare nel prossimo futuro?
Un report della Banca Mondiale ci ricorda come, negli ultimi 50 anni, ci siano state 2 crisi alimentari di un certo rilievo, entrambe in concomitanza di shock petroliferi. La prima nel 1972-74 (70% di aumento in termini reali del food price index della Banca Mondiale), la seconda durante gli anni 2000, all’interno di un boom dei prezzi delle materie prime (45% di incremento dell’indice tra il 2006 e il 2008). Sulla base dell’esperienza passata si andrà quindi incontro a fenomeni di sostituzione e all’arrivo sul mercato di nuovi fornitori. Alcune colture saranno sostituite con altre similari più facili ed economiche da ottenere. Prima della crisi alimentare degli anni ’70, Argentina e Brasile non avevano nessuna produzione di soia mentre oggi forniscono, rispettivamente, il 17% e il 50% della produzione mondiale. Guardando alla crisi attuale, una similitudine con le precedenti è il comune ruolo di elevati prezzi di energia e fertilizzanti nel contribuire all’aumento dei prezzi alimentari. Il fenomeno sostitutivo spiega anche le differenti variazioni dei prezzi: i prezzi dell’olio di semi di girasole sono aumentati meno rispetto a quelli del grano in quanto l’olio di semi di girasole è più facilmente sostituibile con altri prodotti simili. Relativamente alle azioni tipicamente intraprese dai governi nel passato, ovvero restrizioni al commercio e divieti di export al fine di proteggere le proprie produzioni domestiche, in questa fase sembrano essere state poco usate, anche se la Banca Mondiale ci ricorda come, maggiori restrizioni all’export dall’ Ucraina (e possibilmente dalla Russia) potrebbero portare ad un aumento di tali misure maggiormente restrittive, così come accaduto in passato.
Quali sono dunque le previsioni per il 2022 e il 2023? La tabella sotto riporta le previsioni sui prezzi delle commodity da parte delle Banca Mondiale. In generale, dopo un forte aumento nel 2022 e una correzione al ribasso nel 2023, tenderanno comunque a rimanere elevati nel periodo 2023-2024 rispetto ai livelli degli ultimi 5 anni. In particolare i prezzi dei beni agricoli sono visti in aumento del 18% (il grano in particolare del 42%) nel 2022 con una riduzione di circa l’8% nel 2023 in seguito ad una maggiore produzione, soprattutto di grano, da parte di Argentina, Brasile e Stati Uniti. Sulle stime pesano ovviamente le incognite legate alla durata e agli sviluppi del conflitto in Ucraina e ai forti focolai di covid in Cina che stanno portando a estese chiusure (quali conseguenze della politica cinese di tolleranza zero nei confronti del virus) e a rallentamenti dei traffici commerciali, con centinaia di navi container bloccate davanti ai porti cinesi.

In sintesi:
- La riduzione di forniture di grano e altri prodotti alimentari dall’Ucraina, sia quest’anno che il prossimo anno, contribuirà a mantenere elevati i prezzi dei beni agricoli di prima necessità, contribuendo a sostenere un’inflazione che avrà difficoltà a scendere, considerando anche i forti aumenti dei prezzi per le altre materie prime non alimentari.
- La persistenza di un’inflazione più alta e per un periodo più lungo rispetto alle aspettative complica maggiormente le scelte di politica monetaria delle banche centrali che, per lo più, stanno preferendo sacrificare parzialmente la crescita economica, vista non ancora troppo in pericolo, al fine di combattere più efficacemente l’inflazione con una politica di rialzi dei tassi. Ciò contribuisce al calo dei prezzi delle obbligazioni e a correzioni sul mercato azionario, in particolare sui titoli tecnologici (Nasdaq).
- Possibili tensioni sociali potranno scaturire in quei paesi del mondo più poveri, in particolare nelle zone del Nord Africa, che sono forti importatori di prodotti alimentari e i cui prezzi sono già calmierati dai governi sempre più in difficoltà sui budget nazionali a causa degli elevati prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali.