LO SHOCK DEI TASSI D’INTERESSE E COME BENEFICIARNE

L’annuncio della BCE, che la scorsa settimana ha fortemente scosso i mercati obbligazionari e azionari, di una politica di rialzo dei tassi di interesse in maniera graduale ma sostenuta in Europa a partire da luglio non è altro che il finale di un romanzo i cui primi capitoli potevano già essere letti un paio di anni fa. In un precedente articolo dell’ottobre 2020 sui rischi di un portafoglio 60% azionario/40% obbligazionario scrivevo: “E’ indubbia, a mio parere, la trasformazione della componente obbligazionaria da mitigatrice ad amplificatrice del rischio (inteso in questo caso come massimo drawdown) e volatilità dell’intero portafoglio, sia esso un 60/40 e ancor di più un risk parity.” Nell’articolo riportavo anche la valutazione della società di investimento Algebris secondo cui “una delle cose più pericolose da avere in portafoglio in questo momento sono le obbligazioni governative a lunga scadenza sia per un rischio inflazione sia per un possibile modifica delle aspettative macroeconomiche”.

La Santa Barbara era piena di esplosivo, mancava solo la miccia per far esplodere il tutto, che si è dimostrata essere poi l’inflazione. In un successivo articolo del gennaio 2021 mettevo in guardia sul fatto che l’inflazione, ormai un desaparecido da anni, potesse questa volta palesarsi: “Perché quindi, ci si chiede, questa volta dovrebbe essere diverso? Per tre motivi principali: le politiche fiscali ampiamente espansive a livello globale che in passato non abbiamo avuto, la possibile riduzione di alcuni fattori disinflattivi presenti negli ultimi decenni, il volume degli interventi delle banche centrali che non ha precedenti, nemmeno nella crisi del 2008-2009”.

L’azione delle banche centrali

Attualmente la BCE si sta accodando alla politica di rialzi dei tassi della Federal Reserve, già partita mesi fa, che ha portato ad una correzione dei prezzi delle obbligazioni governative USA del 12%, il maggiore crollo di sempre nel primo semestre. Nel giro di pochi mesi la percentuale di obbligazioni a livello globale con rendimenti negativi è passata dal 20% al 4%.

Nello specifico, se da un lato la BCE ha annunciato un rialzo di 25 punti base a luglio (probabilmente 50 bps a settembre), un’inflazione stimata a quasi il 7% nel 2022 (3,5% nel 2023 e 2,1% nel 2024) e tassi di crescita del PIL rivisti al ribasso (2,8% nel 2022 e 2,1% nel 2023), dall’altro l’assenza di dettagli su uno scudo antispread per i paesi periferici ha diffuso il panico tra gli investitori, riportando al centro dell’attenzione il grande debito pubblico italiano e la sua sostenibilità.

Le analisi delle case di investimento sui rialzi dei tassi

Gli investitori, infatti, temono il perdurare di alti tassi di inflazione e il dover rincorrere della BCE fa temere per rialzi del costo del danaro anche oltre le attuali previsioni. Gli analisti di Goldman Sachs (“GS”), ad esempio, ipotizzano un possibile punto di arrivo del rialzo dei tassi a quota 1,5% nel giugno del 2023 che potrebbe spingersi, eventualmente, fino al 2%. Secondo le analisi dell’investment house Schroders vi sono 3 motivazioni per il perdurare dell’inflazione: 1) Il perseguimento della politica zero covid in Cina, i cui pesanti lockdown hanno generato colli di bottiglia nelle catene globali di approvvigionamento creando riduzioni dal lato dell’offerta; 2) I prezzi delle materie prime di energia, alimentari e fertilizzanti rimangono elevati in seguito al conflitto in Ucraina; 3) L’inflazione nel settore dei servizi continua a crescere in seguito alle riaperture post covid e la sua alta intensità di manodopera rischia di essere il motore nella spirale di rialzo salari-prezzi.

L’approccio seguito dalle banche centrali quindi è quello di sacrificare la crescita economica pur di riportare sotto controllo l’inflazione. Seppure i rischi di una fase recessiva siano in aumento, le aspettative di crescita del PIL rimangono del 3,3% a livello globale mentre, come evidenzia un’analisi di GS, delle 12 fasi di mercato ribassista verificatesi dopo la seconda guerra mondiale, 4 di queste non hanno coinciso con una recessione, registrando un drawdown (escursione dai massimi ai minimi) del 28% (il 35% mediano nelle fasi in cui, al contrario, c’è stata una recessione). Lo scenario di base di GS prevede una fase di mercato ribassista di breve durata senza il verificarsi di una recessione.

Secondo Algebris, nonostante i mercati del credito e azionario sembrino prezzare una recessione nel breve periodo, la probabilità di recessione, calcolata ad aprile in base ai loro modelli, si attestava al 30%, in linea con la probabilità di qualsiasi altro mese, mentre era maggiore nel medio periodo, ossia il 60%-65% sui 24-36 mesi. Questo fa loro concludere che il principale rischio sui mercati obbligazionari e azionari sia l’inflazione e non la recessione che, al contrario, solo con un distacco dal gas russo nei prossimi mesi potrebbe palesarsi nel 2022-2023. Riguardo alla loro analisi del debito pubblico italiano, si ricorda come circa il 30% dell’intero stock è attualmente detenuto dalla BCE e che questa interverrà con misure di contenimento degli spread solo al raggiungimento di soglie di emergenza.

Quali interessanti spunti possono derivare dalle analisi fin qui fatte?

Mercati obbligazionari

Quanto accaduto negli ultimi mesi sui mercati obbligazionari ha finalmente riportato verso condizioni di maggiore equilibrio i prezzi delle obbligazioni alterati da anni di politiche di quantitative easing, rendendo di nuovo attraenti le obbligazioni americane IG e HY (quest’ultime con rendimenti del 7%). Guardando all’Italia, i rendimenti del BTP decennale sfiorano il 4%, mentre anche su scadenze di 2-3 anni è possibile spuntare tassi oltre il 2%. Se quindi, fino a solo un anno fa, un investimento sul BTP decennale generava un piccolo rendimento a fronte di un rischio di rialzo dei tassi elevato (e quindi di potenziali perdite in conto capitale per i titoli non portati a scadenza), attualmente i rendimenti sono molto più interessanti e compensano molto meglio per ulteriori cali dei prezzi che si avvicinano sempre più ad una soglia di intervento antispread da parte della BCE. Inoltre, lo shock inflattivo e la conseguente aggressività nel rialzo dei tassi nel breve periodo possono portare ad un appiattimento della curva dei rendimenti con maggiori rialzi dei rendimenti soprattutto sulle scadenze di breve e un minore effetto sulle scadenze di lungo penalizzate da previsioni di minore crescita prospettica, frutto delle politiche monetarie più restrittive della BCE. La maggiore attrattività del mercato obbligazionario può quindi sintetizzarsi con un passaggio da un approccio TINA “There is no alternative”, ovvero non c’è alternativa valida all’azionario, ad un approccio TARA “There are reasonable alternatives”, ovvero ci sono di nuovo delle alternative interessanti. Se, quindi, negli ultimi anni l’approccio più corretto per investire sui mercati obbligazionari era usare delle gestioni separate o fondi obbligazionari con duration molto limitata, fermo restando la loro validità, le nuovi condizioni di mercato permettono di esplorare nuove opzioni.

Mercati azionari

Guardando al mercato azionario notiamo come la massima correzione dai record del novembre 2021 sia stata per il Nasdaq del 30%, di circa il 21% per S&P500 e del 25% per il FTSEMIB italiano. La peggiore performance dei titoli tecnologici si spiega con il fatto che le loro quotazioni sono più sensibili ai rialzi dei tassi che, spinti dalla lotta all’inflazione, stanno guidando l’attuale correzione sui mercati obbligazionari ed azionari. Abbiamo ricordato prima come le correzioni, in media, nelle fase recessive, si attestino intorno al 30-35% dai massimi. E’ interessante notare che nel recente sondaggio di Bloomberg tra gli operatori finanziari, il gruppo più ampio di questi, circa il 30%, stima il livello di minimo dell’S&P500 nel 2022 intorno ai 3600-3400 punti, ovvero circa un 10% in meno rispetto ai livelli attuali, mentre un ulteriore 14% prevede un minimo intorno ai 3200-3400. In sintesi, potremmo concludere che oltre il 40% degli operatori farebbe acquisti sul mercato azionario, sulla base delle condizioni economiche e geopolitiche ad oggi note, su ribassi tra il 10% e il 15% rispetto ai valori attuali. Ricordo come, in un articolo di inizio febbraio, stimavo un interessante punto di acquisto sull’S&P500 a 3500-3600, ben prima di questo sondaggio…

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