Chat GPT. C’è un mondo dietro questa parola ma, soprattutto, c’è un mondo che verrà che potenzialmente potrebbe essere molto diverso da quello a cui siamo abituati. Una vera rivoluzione copernicana.
Il clamore suscitato dalle capacità dell’intelligenza artificiale dietro Chat GPT è ancora forte e le prime reazioni non sono mancate anche a livello politico, non a caso è stato vietato in Italia, anche se le motivazioni sono legate a motivi di sicurezza sui dati personali.
Cos’è Chat GPT? Si tratta di un’interfaccia, un software se vogliamo, sviluppato dalla società Open AI, una start-up di sviluppo dell’intelligenza artificiale (già valutata circa 30 miliardi di dollari), capace di dialogare con persone in maniera simile ad una persona umana, scrivere testi su qualsiasi argomento in maniera assai efficace e professionale, superare brillantemente molti esami accademici. La sua versione più aggiornata, Chat GPT4 (GPT sta per generative pre-trained transformers), è in grado di riconoscere e gestire anche immagini e risulta più precisa, creativa e collaborativa rispetto alla versione precedente. La tecnologia si basa su modelli di linguaggio di ampie dimensioni (Large Language Model o LLM), un modello di linguaggio generativo pre-addestrato in cui algoritmi di deep-learning sono in grado di generare contenuti attingendo ad un’enorme quantità di dati quali enciclopedie, dizionari, testi on-line e via dicendo e soprattutto con la capacità di migliorarsi e ampliare le proprie conoscenze attraverso l’interazione con gli utenti.

Nonostante presenti ancora molte lacune, è solo questione di tempo prima che diventi sempre più preciso e affidabile. Chat GPT è solo uno dei progetti di AI (Artificial Intelligence) a cui si sta lavorando nel mondo. Google, ad esempio, sta sviluppando una sua versione di intelligenza artificiale chiamata Bard. La direzione e la velocità di sviluppo e gli ambiti di applicazione di questa tecnologia avranno forti implicazioni sul campo lavorativo, sociale, e, in ultima istanza, politico.
Una recentissima ricerca, pubblicata il 27 marzo scorso da ricercatori dell’università di Pennsylvania e della stessa OpenAI, dal titolo “An early look at the labor market impact potential of large language models”, indica che già oggi il 15% delle mansioni di ciascun lavoratore potrebbe essere portato a termine più velocemente e con la stessa qualità, una percentuale che potrebbe salire ad oltre il 50% una volta si sia completata l’integrazione dell’intelligenza artificiale nei software e nelle macchine industriali esistenti, andando ad impattare, in particolare, le professioni con i salari elevati. Non sorprende questa conclusione: se da un lato, infatti, la robotica, ovvero l’automazione di processi manuali, comporta la sostituzione del lavoro manuale ripetitivo con delle macchine, dall’altro, con una logica parallela, l’automazione intellettuale dell’ AI porterà ad un sostituzione di molti compiti di concetto. Mentre sono già in allarme alcune figure professionali, come i copywriter, in quanto facilmente sostituibili dalla nuova tecnologia, c’è anche chi guarda alla necessità di nuove figure professionali, con preparazione umanistica e psicologica, necessarie per “addestrare” meglio la nuova intelligenza artificiale a diventare sempre più umana e affidabile nelle risposte.
Se uniamo queste considerazioni al fatto che si stanno sviluppando nel mondo i computer quantistici, molto più veloci di quelli attuali e talmente potenti che anche gli attuali modelli di criptografia (delle password ad esempio) dovranno essere rivisti, possiamo solo immaginare la potenza di calcolo a cui avrà accesso questa nuova tecnologia, in grado di far compiere passi da gigante soprattutto nel campo della fisica, della biologia, nella farmacologia e via dicendo.
E’ chiaro che tale trasformazione richiederà anni ma la direzione sembra ben delineata. Agli uomini spetta però governare i cambiamenti che ciò comporterà, sia riguardo ai risvolti positivi che a quelli negativi.
A mio parere, lo sviluppo combinato di robotica e intelligenza artificiale, in pratica non solo la replica delle capacità fisiche e intellettive dell’uomo ma allo stesso tempo anche un loro potenziamento, può rappresentare una rivoluzione copernicana, lo stravolgimento del modello storico della società umana fondato sul connubio di lavoro e fatica ben rappresentato in un celebre quadro di Van Gogh (a 170 anni dalla nascita dell’artista), “I mangiatori di patate”, la cui atmosfera cupa, l’assenza di quei colori brillanti e luminosi che hanno reso l’artista famoso e amato, la potenza espressiva degli sguardi affossati e rugosi, testimoniano la fatica e allo stesso tempo la dignità della civiltà contadina, un richiamo più ampio alla fatica esistenziale di tutta l’umanità.
- La riduzione costante dell’orario di lavoro
Se le macchine possono sempre più spesso e in maniera sempre più ampia e pervasiva sostituire il lavoro umano, l’uomo avrà necessità di lavorare sempre meno per produrre almeno il minimo indispensabile al proprio sostentamento e in prospettiva potrebbe anche non dover lavorare affatto. Utopia? In questi giorni si parla, anche in Italia, di riduzione della settimana lavorativa a 4 giorni, a parità di salario. Sperimentazioni si sono avute già all’estero dove il modello ha riscosso un certo successo. Anche in Italia alcune imprese lo stanno sperimentando. Da un punto di vista di teoria economica il ragionamento è molto semplice. La produttività non è altro che la quantità di output, ossia di produzione, che si riesce a generare in un determinato intervallo di tempo data una quantità definita di input produttivi, diciamo capitale e lavoro. Se grazie a qualcosa, chiamiamola tecnologia, riesco ad incrementare l’output con la stessa quantità di input o riesco a produrre lo stesso con meno fattori produttivi, ho aumentato la produttività. Se quindi lavorando 4 giorni, grazie al maggiore supporto di tecnologie informatiche o robotiche e un migliore bilanciamento con la vita privata, riesco a produrre quanto facevo in 5 giorni ovviamente ho lavorato meno tempo ma a parità di salario in quanto il valore finale del mio lavoro, misurato dal valore della produzione, non sarà stato modificato. Estendendo questo ragionamento al suo estremo, se aumento il fattore tecnologia potrei arrivare ad un livello dove l’input lavoro diventa assai piccolo o vicino a zero. Del resto lo abbiamo visto anche nella storia. In Italia, alla fine dell’800 l’orario di lavoro medio era di 16 ore giornaliere e solo una legge del 1899 permise di fissarlo a 12 con l’interdizione dal lavoro notturno per le donne e i ragazzi dai 13 ai 15 anni. Il regio decreto 692 del 1923 fissò l’orario di lavoro per tutte le categorie produttive a 8 ore giornaliere, per un massimo di 48 settimanali. Agli inizi degli anni 70 il massimale settimanale passò da 48 a 40 ore. In base alle ultime statistiche, attualmente in Italia si lavora mediamente 37 ore alla settimana (media UE a 38 ore). I paesi dove si lavora meno sono i Paesi Bassi (30 ore), Danimarca (33,6) e Germania (35), quelli dove si lavora di più sono Grecia (41,7), Bulgaria (40,4) e Polonia (40,3). Al di là delle situazioni specifiche dei singoli paesi, è ben evidente una correlazione tra sviluppo tecnologico delle società e riduzione dell’orario di lavoro.

Le conseguenze di questo fenomeno storico inarrestabile, che potrebbe ora subire una forte accelerazione nella sua direzione di fondo grazie agli sviluppi dell’AI, spaziano dal sociale al riequilibrio dell’ordine geo-politico mondiale.
- La crescita dell’industria del tempo libero
La disponibilità di maggiore tempo libero da parte degli individui favorisce le attività economiche di quei settori che si occupano appunto del “tempo libero”. Secondo i dati di Growth Capital, nel 2020 il settore del gaming ha generato 175 miliardi di dollari di ricavi, con circa 2,7 miliardi di gamer attivi in tutto il mondo, superando industrie quali cinema, musica, televisione. Solo in Italia il volume di affari del 2021 è stato di 2,2 miliardi di euro, con una crescita del 3% rispetto all’anno precedente. La stessa Unione Europea, conscia dell’importanza crescente del settore sia dal punto di vista lavorativo che da quello di vista culturale in competizione con USA, Giappone e ultimamente Cina, ha instituito l’Osservatorio europeo per i videogame, con lo scopo di incrementare il numero di videogiochi prodotti dal settore europeo che, attualmente, occupa circa 100mila addetti e che vede la Polonia come paese leader, con oltre 60 corsi di laurea legati allo sviluppo di videogiochi e numerose aziende del settore quotate presso la borsa di Varsavia.
Se prendiamo il settore dei musei, monumenti e aree archeologiche statali ad esempio, dopo il crollo dovuto alla pandemia, il 2022 è terminato con numeri importanti, ormai vicini al 2019 (anno migliore di sempre per affluenza ed incassi). Qualche esempio: gli Uffizi di Firenze hanno registrato 4 milioni di visitatori nel 2022, con un record di incassi di 35 milioni di euro, poco sopra il record del 2019; il Museo Egizio a Torino quasi 900mila visitatori contro gli 850mila del 2019.
- Taiwan al centro dello scontro tecnologico
Allargando lo sguardo a livello geopolitico un nome su tutti, Taiwan. La piccola isola nel Pacifico rappresenta l’emblema della battaglia che a livello mondiale si sta combattendo per la supremazia tecnologica, che, in ultima istanza, significa anche supremazia economica, militare e quindi politica.
Taiwan, stato indipendente che la Cina vorrebbe “riannettere” all’interno del suo territorio, ha la leadership mondiale riguardo all’industria dei semiconduttori: la repubblica taiwanese ha il 65% del mercato della fabbricazione e ha una leadership nel segmento dell’assemblaggio, imballaggio e testing, con oltre il 50% di quota di mercato mondiale. Il suo campione nazionale, TSMC, è il primo produttore di chip al mondo. L’importanza attribuita all’industria dei microchip, che sono ovunque, dai pc ai cellulari, dalle auto ai sistemi militari, ha portato gli USA ad approvare una legge specifica, il Chips Act, che ha un valore di circa 280 miliardi di dollari e include 53 miliardi in aiuti industriali e che da un lato cerca di incentivare sempre più una propria produzione nazionale, dall’ altro di arginare lo sviluppo cinese nel settore. Gli Usa, attraverso moral suasion e vincoli legali e commerciali, stanno cercando di impedire l’acquisizione delle più moderne tecnologie da parte dei cinesi che, sul segmento più avanzato dei microchip, hanno circa 6-7 anni di ritardo rispetto a Taiwan. Ad esempio, la società olandese ASML, unica azienda al mondo in grado di produrre le stampanti necessarie per produrre i microchip di ultima generazione, ha accettato, su pressioni americane e in accordo con il governo dei Paesi Bassi, di limitare l’esportazione di certi modelli verso la Cina. Da un punto di vista più strettamente politico Taiwan, oltre ad essere una democrazia, rappresenta anche il simbolo di come uno stato di etnia cinese possa prosperare senza il modello comunista (situazione simile all’Ucraina dove permettere ai “fratelli” russofoni ucraini di prosperare in un regime democratico significherebbe ammettere indirettamente anche il fallimento del modello autocrate russo in patria, che, nonostante la sfavillante ricchezza degli oligarchi e della borghesia di Mosca e San Pietroburgo, ancora lascia la maggior parte della sua popolazione in condizioni socio-economiche poco entusiasmanti, con uno stipendio medio mensile di 700 euro e una speranza di vita a 73 anni, contro una media OCSE di 81, senza parlare di censura informativa e restrizioni delle libertà personali).
- L’impatto potenziale sui flussi migratori
Infine, guardando un po’ più avanti, lo sviluppo di robotica ed intelligenza artificiale potrebbe influenzare la visione socio-politica con cui affrontare il fenomeno dei flussi migratori.
Negli ultimi mesi è caldo il tema politico del calo demografico da un lato e dall’altro della necessità di accogliere i migranti che continuano ad arrivare sulle nostre coste, non solo dall’Africa, ma da diversi paesi dell’oriente. Lasciando da parte considerazioni di carattere morale e/o religioso, l’incremento della forza lavoro, possibilmente qualificata e gestita tramite flussi regolari, potrebbe supportare diversi settori economici che richiedono manodopera e aiutare il problema del calo della natalità, fenomeno tipico dei paesi maggiormente sviluppati ma particolarmente evidente proprio in Italia. La potenziale prospettiva, come detto più nel lungo termine, di poter rimpiazzare gran parte del lavoro manuale e non solo con macchine e intelligenza artificiale, potrebbe diminuire la necessità di migranti. I robot e l’intelligenza artificiale diventare i nuovi schiavi del futuro, creando ricchezza cosi come in passato è stato per i grandi imperi, da quello romano alla stessa società americana prosperata anche grazie alla tratta degli schiavi dall’Africa. L’accesso o meno alle migliori tecnologie sarebbe l’equivalente del possesso o meno degli schiavi più forti, in grado quindi di creare maggior ricchezza per i propri possessori. In un sistema in cui, tuttavia, anche tramite strumenti di redistribuzione del reddito (un salario minimo universale), i cittadini godono di maggiore tempo libero e maggiore serenità economica, è assai probabile che anche il tasso di natalità si alzi significativamente, andando a risolvere parzialmente, se non in toto, in problema demografico. In quest’ottica, un simile modello di sviluppo economico potrebbe essere visto favorevolmente dai governi con visione sovranista e con retoriche e programmi incentrati alla difesa dell’identità e della cultura nazionale.
Insomma, come abbiamo visto, Chat GPT non è solo una chat automatica, ma solo il segnale di un mondo nuovo e potenzialmente molto diverso che spetta a noi plasmare nella maniera migliore.
P.S. Puoi anche leggere l’articolo dal titolo “I robot ci rubano il lavoro o ci daranno da mangiare?” del gennaio 2017 in cui avevo già affrontato la tematica dei risvolti sociali ed economici dello sviluppo della robotica.