LA FALSA SICUREZZA DEI CONTI DEPOSITO E IL LORO PARADOSSO FINANZIARIO

I conti deposito rendono meno dei titoli di stato ma sono anche meno sicuri. Questo paradosso potrebbe disorientare gli investitori (forse meglio dire i parcheggiatori) di breve termine che solitamente vincolano per un anno o più una certa liquidità, accettando ritorni più esigui rispetto ad un investimento di più lungo termine e soprattutto sentendosi certi sulla sicurezza della restituzione del capitale. E’ davvero così semplice, immediato e lineare? Non proprio a mio parere per le ragioni che andremo a vedere.

L’introduzione negli ultimi anni della normativa sul bail-in implica non solo che, in caso di dissesto di un istituto di credito, ci sia una tutela via via decrescente per i vari soggetti investitori nella banca, a partire dai detentori di obbligazioni, ma coinvolge anche gli stessi correntisti per i quali somme depositate superiori ai 100.000 euro potrebbero essere a rischio. Ne consegue che, per definizione, chi detenesse somme inferiori a tale ammontare sarebbe automaticamente escluso da qualsiasi rischio di non vedersi restituire completamente il suo capitale. In linea teorica è corretto e sicuramente sarebbe così nel caso del fallimento di piccole banche dove il fondo di garanzia interbancario avrebbe disponibilità sufficienti per ripagare gli sfortunati o poco avveduti correntisti (ricordiamo gli alti rendimenti dei conti deposito di Banca Marche giusto per citare un esempio). Se invece dovesse fallire una banca di dimensioni maggiori, il fondo interbancario di garanzia dei depositi, che si finanzia attraverso il versamento di quote dalle singole banche italiane, avrebbe grosse difficoltà a trovare i fondi necessari. Cosa accadrebbe allora? Molto probabilmente sarebbe lo stato a intervenire. Ne abbiamo avuto esempio concreto nel fallimento delle banche popolari di Etruria, Carichieti, Veneto Banca e Carife, nel qual caso l’attuale governo pare abbia stanziato risorse per circa 1,5 miliardi al fine di risarcire i risparmiatori truffati (alcuni troppo avventati) per le obbligazioni emesse da queste banche. Nel caso specifico non si tratta di risarcire i correntisti ma il fatto è significativo per capire cosa potrebbe accadere nel caso in cui le tutele del sistema privato (quindi il fondo di garanzia interbancario) non fossero sufficienti a tappare i buchi: il sistema pubblico entrerebbe in gioco.

Il sistema pubblico significa titoli dello stato italiano e allora il paradosso dell’investitore di breve termine sta proprio qui: non mi fido dei titoli di stato italiano che mi rendono, su scadenze di pochi anni, anche un 2-3% netto e quindi penso sia meglio l’1%  vincolando di anno in anno la liquidità (magari costretto ad aprire più conti correnti in varie banche per depositare un massimo di 100.000 euro per istituto) per un periodo totale simile a quello che avrei fatto comprando un titolo di stato italiano, senza considerare che in caso di turbolenze del sistema finanziario sarebbe proprio lo stato la mia ultima garanzia e non il fondo interbancario.

In sintesi: l’investitore sta rinunciando ad un rendimento assai maggiore sul proprio capitale senza considerare che i rischi sono identici sia nell’investimento nei titoli di stato italiano che nei conti deposito. Anzi, sono maggiori, a mio parere, nei conti deposito! Non è possibile! Follie finanziarie direbbe qualcuno! Qui addirittura abbiamo un esempio storico che supporta questa affermazione: nel 1992 il governo Amato effettuò un prelievo forzoso del 6 per mille una tantum su tutti i conti correnti per finanziare la manovra di bilancio. Ne consegue che in caso di necessità, piuttosto che accettare una ristrutturazione del debito italiano (cioè un rimborso parziale dei titoli del debito in circolazione, quindi modello Grecia o Argentina per capirci), con conseguenze devastanti sul rating e sul costo del debito per molti anni a venire, qualsiasi governo in carica quasi sicuramente preferirebbe tassare i suoi cittadini o fare un prelievo forzoso sui conti correnti di questi e sappiamo che non sarebbe complicato in quanto le stime parlano di circa 1,5 mld di euro depositati sui conti correnti in Italia. Morale: seppure in teoria non appare così, nella pratica anche se un conto deposito rende meno di un titolo di stato italiano ha un rischio simile se non maggiore dello stesso titolo di stato, un paradosso finanziario in quanto sono le attività a maggior rischio a dover rendere di più. Escludendo quelle situazioni in cui il parcheggio di liquidità è effettivamente tale in quanto si è già deciso a breve un investimento (acquisto di un immobile ad esempio) o una spesa (iscrizione del proprio figlio all’università ecc.) nel concreto quindi sarebbe meglio per l’investitore preferire un BTP o altre forme  formalmente slegate dalla logica del bail-in che offrono altrettanti ritorni interessati piuttosto che investire in conti deposito finanziariamente poco efficienti come abbiamo visto. Quali? Un paio di esempi: i fondi pensione sono esenti dal bail-in e offrono ritorni fiscali, attraverso la deducibilità annuale dal reddito, assai elevati; i covered bond, cioè le obbligazioni che hanno un collaterale in fase di emissione non sono soggetti al bail-in, sono acquistabili magari attraverso un ottimo fondo di investimento quale il Nordea Covered Bond.

N.B. Mi preme aggiungere una nota metodologica. Nella definire i conti deposito più rischiosi rispetto ai titoli di stato italiano ho preso in considerazione il rischio di rimborso del capitale e non il rischio come solitamente viene inteso in finanza, cioè volatilità del prezzo dello strumento finanziario. Se dovessimo analizzare i due strumenti anche da questo punto di vista, potremmo osservare che, a variazioni dello spread, la volatilità del BTP potrebbe essere a nostro favore o meno, mentre la “volatilità” del conto deposito sarà sempre a nostro favore in quanto il valore del deposito aumenterà in maniera lineare con il passare del tempo. Anche in quest’analisi più classica di rischio non necessariamente la volatilità del BTP sarebbe negativa per l’investitore e anzi potrebbe essere molto più vantaggiosa di quella del conto deposito quanto maggiore fosse il livello dello spread al momento dell’acquisto del titolo di stato.

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