I PERICOLI DEGLI ETF: MEGLIO LA GESTIONE ATTIVA? – PARTE II

Riprendiamo e concludiamo l’analisi dell’articolo pubblicato il 22 giugno, aggiungendo l’analisi dei rendimenti degli ETF rispetto ai fondi a gestione attiva.

Si sente parlare spesso del fatto che molti fondi attivi non fanno meglio del proprio indice di riferimento. Ad esempio secondo l’analisi SPIVA (S&P Indices Versus Active), su un periodo di 15 anni, circa l’88% dei fondi US ha sottoperformato il proprio indice S&P di riferimento. Questa sottoperformance tuttavia è minore per fondi che investono in piccole e medie capitalizzazioni (82%) e scende al 62% se si considerano le small caps fuori degli US. Su periodi più brevi tale sottoperformance totale si riduce: ad esempio a 3 anni è del 72%, a 5 anni dell’83%. Riguardo al periodo turbolento appena trascorso, voltando lo sguardo all’Europa ad esempio, nel primo trimestre circa il 57% dei fondi equity ha sottoperformato.

E’ necessario tuttavia fare un’importante considerazione sulla natura dei fondi attivi e su quanto possano davvero essere considerati tali. Una ricerca del 2013 pubblicata sul CFA Financial Analyst Journal (autore: Antti Petajisto) mostrava come dagli anni ‘80 la percentuale dei fondi con una “active share” superiore al 60% (l’active share misura la percentuale del fondo investita in maniera diversa rispetto al proprio benchmark), che possono quindi essere considerati veramente a gestione attiva, fosse passata da quasi il 100% a circa il 55%, mentre circa un 25% (con un active share tra 60% e 20%) fosse da considerarsi come “closet indexers”, cioè fondi che si dichiarano attivi (e quindi anche con commissioni più alte rispetto a fondi a gestione passiva) mentre in realtà la loro performance non si discosta molto dal benchmark, insomma quasi degli ETF mascherati. Il rimanente 20% (active share tra 0-20%) del campione era rappresentato da index funds, o diremmo oggi ETF e simili. Riguardo alla performance misurata sul periodo 1990-2009, mentre in media i fondi sottoperformavano il benchmark di circa lo 0,40%, i fondi con maggiore active share e portafoglio più concentrato mostravano una sovraperformance del 1,26%. Per completezza dell’analisi è comunque necessario ricordare che la misurazione dell’active share è valida per i fondi che investono unicamente in posizione lunghe, senza utilizzare derivati a copertura. La stessa ESMA, l’ente regolatorio europeo, negli ultimi anni ha lanciato un’investigazione per capire quanti potrebbero essere i fondi in Europa classificati come attivi ma che hanno un basso tracking error, cioè uno scostamento troppo piccolo rispetto al benchmark, e che in realtà possono essere assimilati a degli ETF mascherati. Un’ipotesi è che tra il 15% e il 5% di tali fondi potrebbe non essere a gestione attiva.

Uno dei motivi principali di questo comportamento da “replicante” dell’indice risiede nella volontà del gestore di salvaguardare il proprio posto di lavoro! Decisioni forti, con view troppo diverse rispetto al mercato, in caso di errori e turbolenze dei mercati possono portare a sottoperformance maggiori e quindi al rischio di periodi di eccessivi rimborsi nel fondo con il rischio di chiusura del fondo o di rimozione del gestore. Dal lato opposto, il gestore poco attivo che ha portato a casa una performance molto inferiore rispetto al gestore attivo ma comunque positiva non sarà comunque penalizzato troppo da riscatti, rischiando meno la propria retribuzione e il proprio ruolo. Questa è anche una conseguenza del fatto che gli investitori molto spesso, più che essere risk adverse, cioè contrari al rischio inteso come volatilità dei valori dello strumento finanziario, sono loss adverse, cioè contrari al rischio e valutano 100 euro di perdita come un danno psicologicamente maggiore rispetto a 100 euro di mancato guadagno (la finanza comportamentale ci dice che il rapporto è di circa 2 a 1).

Un’ulteriore ricerca (von Reibnits 2015) conferma non solo la capacità dei fondi con vera gestione attiva di sovraperformare il mercato ma anche le condizioni nelle quali questo avviene. Infatti, quando la dispersione dei rendimenti è maggiore, quindi nei periodi d’incertezza e maggiore volatilità, così come accaduto recentemente, i fondi con maggiore active share creano la maggiore sovraperformance rispetto all’indice nei periodi successivi, cosa che avviene molto meno quando la dispersione dei rendimenti è minore. Questo a dimostrazione che anche i fund manager più preparati e capaci non sono in grado di creare sovraperformance in tutti in periodi e sono più allineati alle performance di tutti e quindi del mercato quando c’è meno incertezza.  In una frase potremmo dire: quando le cose sono facili da capire sono bravi tutti, i migliori si vedono nei momenti difficili.

Conclusioni

E’ vero che molto fondi a gestione attiva sottoperformano il proprio benchmark di riferimento ma questa percentuale è più bassa di quello che dicono le statistiche se ci considera che una parte di fondi considerati attivi non dovrebbe rientrare nel conteggio. In aggiunta esiste una percentuale, ed è quella che il bravo consulente deve individuare a vantaggio del cliente, che tuttavia è in grado di dare un extra rendimento rispetto al mercato e quindi anche rispetto ad un ETF, anche al netto dei costi e del rischio.

L’analisi dimostra che soprattutto successivamente a momenti di maggiore incertezza i gestori preparati e attivi sono in grado di generare una maggiore performance rispetto al mercato e ai suoi semplici replicanti quali gli ETF.

Chi sottolinea il ruolo dei minori costi degli ETF dimentica di dire che per definizione i trackers non puntano a creare alfa quindi, quindi possono essere superati da una cerchia, seppure ristretta, di fondi a gestione attiva.

La conclusione principale dell’analisi è che per una corretta creazione di portafoglio, il consulente potrà fare ricorso sia fondi a gestione attiva ben selezionati sia ad ETF, soprattutto riguardo la capacità di quest’ultimi di seguire tematiche di investimento particolari (un esempio estremo è l’ETF sulla cannabis) a volte difficilmente replicate con efficacia da fondi a gestione attiva.

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