La risposta migliore è che il momento giusto per pensare ad entrambi, essendo il primo uno degli strumenti per arrivare a costruire il secondo. Vediamo alcune considerazioni chiave sulla conoscenza e sull’uso del sistema previdenziale integrativo da parte degli italiani attraverso i dati riportati da due recenti studi, “Indagine sul risparmio e sulle scelte degli italiani” (Centro Einaudi 2020) e lo “Schroders Global Investor Study 2020”, per arrivare poi ad alcune conclusioni e suggerimenti.
Secondo i sondaggi del Centro Einaudi, sebbene il 76% degli italiani abbia compreso che il calcolo della pensione è basato su una forma virtuale di capitalizzazione, in realtà un sistema a ripartizione in cui vengono redistribuiti agli anziani i contributi dei lavoratori attivi, esiste ancora circa un 12% che crede che la pensione sia pagata dai contributi accumulati da chi oggi è in pensione. Un 7% pensa anche siano le entrate fiscali a finanziarla. Lo stesso centro di ricerca ricorda come esistano rischi in questa forma di accantonamento: l’equilibrio del sistema è legato alla crescita della massa dei salari nel tempo e a fattori demografici mentre, in particolari momenti di stress finanziario, le regole potrebbero essere cambiate. A testimonianza di ciò basti ricordare la cronologia delle varie riforme, da quella Dini (1995) a quella Monti-Fornero (2012), che hanno cambiato i meccanismi di calcolo e di età del pensionamento.
Tali periodici cambiamenti normativi a favore della sostenibilità del sistema hanno generato, paradossalmente, un effetto perverso: secondo la ricerca di Schroders, il 36% degli italiani (41% il dato globale che risulta dallo studio completo su 23,000 persone in 32 paesi) è stato indotto dai continui cambiamenti normativi a non accantonare specificamente in prospettiva pensionistica mentre il 38% (stesso dato a livello globale) non capisce quali sono le possibili opzioni a disposizione per incrementare il proprio reddito durante il periodo pensionistico. Anche il Centro Einaudi annovera tra le ragioni dello scarso ricorso alla previdenza integrativa la poca informazione: infatti, solo il 12,7% del campione ha sottoscritto qualche forma di un piano previdenziale integrativo, un valore, analogo a quello del 2011, ossia 12,6%. Circa il 71% degli intervistati non conosce i vantaggi fiscali delle forme di previdenza integrativa oppure li ha dimenticati e circa il 49%, anche dopo aver ricevuto adeguate informazioni, li giudica poco interessanti (stranamente aggiungerei).
A fronte di questo disorientamento e mancanza di informazioni precise rimane tuttavia una preoccupazione che qualcosa vada fatto. Infatti, circa il 48% del campione si dichiara preoccupato (32,5%) o molto preoccupato (15,4%) per il tenore di vita nell’età pensionistica, quota che sale al 55,5% per i rispondenti della euro generation (gruppo di intervistati che, dal compimento del diciottesimo anno di età, ossia da quando hanno affrontato la vita dal punto di vista economico, hanno avuto in tasca «solo gli euro» e nessuna memoria dell’uso della lira, salvo la paghetta). Anche lo studio di Schroders indica che il 31% degli investitori italiani è preoccupato dell’ insufficienza del proprio reddito durante il periodo pensionistico mentre una quota doppia, pari al 60%, ritiene che i contributi previsti dagli schemi statali non saranno sufficienti per un’adeguata pensione. In tal senso l’Italia appare come la più preoccupata a riguardo tra le nazioni europee e supera anche la media globale del 55%.
Non è difficile capire le ragioni dietro tali timori: la crisi pandemica ha ulteriormente aggravato il peso del già elevato debito pubblico. La stessa spesa sanitaria non è sicuramente un capitolo che potrà contribuire a ridurre le uscite statali nel futuro, semmai il contrario. Le crescenti necessità di cassa, se non soddisfatte da una forte ripresa dell’economia, per la quale saranno cruciali le decisioni di investimento dei fondi europei (Next Generation EU) e non, potrebbero essere coperte o da entrate straordinarie, qualcuno ha già riproposto qualche patrimoniale, o da ulteriori ritocchi al sistema pensionistico ad esempio. Breve digressione sulla patrimoniale: negli ultimi giorni, prima un emendamento alla legge di bilancio da parte di alcuni parlamentari a favore di una patrimoniale progressiva a partire dai 500.000 euro in su è stato rigettato, poi reintrodotto. Oggi Grillo boccia la patrimoniale ma si dice favorevole ad un contributo una tantum da parte dei grandi ricchi, 2% sui patrimoni sopra i 50 milioni. In ogni caso è evidente che il tema esiste, anche in vista di una riforma fiscale annunciata per il prossimo anno. A mio parere è difficile che in questo momento passi, non è socialmente e politicamente il momento e comunque, se dovesse concretizzarsi qualcosa, probabilmente andrebbe a coinvolgere solo una minoranza della popolazione in modo da non creare eccessivo scontento e comunque essere sbandierata come un successo politico da alcuni e presentata come un elemento di giustizia sociale.
Tornando al discorso previdenziale, non sorprende, quindi, che la risposta immediata ed emotiva degli italiani sia di convogliare, fin da subito, maggiori risorse ai fini pensionistici: non a caso la percentuale di italiani che nel 2020 ha destinato il proprio reddito per accrescere risparmi ai fini pensionistici è salita al 26% dal 12% del 2017 secondo le analisi di Schroders. Tuttavia la quota di reddito disponibile convogliata specificatamente verso la pensione è del 13%, inferiore al 13,8% dell’Europa e al 15,2% a livello globale. C’è quindi ancora molto spazio per una maggiore e precisa informazione e un allargamento della previdenza integrativa. Proprio ieri il sottosegretario all’economia ha annunciato che il governo sta lavorando ad una nuova modalità di adesione ai fondi pensione basata sul silenzio-assenso ed è probabile che nuovi incentivi fiscali possano essere introdotti a favore dei fondi pensione con la riforma fiscale prevista nel 2021.
Conclusioni
Dall’analisi dei dati emerge quindi, da un lato, una crescente preoccupazione sulla capacità di sostenere un adeguato stile di vita dopo il periodo lavorativo e sulla sempre maggiore inadeguatezza del sistema puramente statale di soddisfare tale bisogno, dall’altro una ancora non adeguata conoscenza delle alternative possibili. I notevoli vantaggi fiscali messi a disposizione dal legislatore per costruire una pensione integrativa sia riguardo al secondo che al terzo pilastro previdenziale, ovvero i fondi pensione di categoria e i fondi della previdenza integrativa individuale, sono troppo spesso poco conosciuti o non adeguatamente considerati dall’investitore. In questo senso la costruzione di un patrimonio per la pensione non passa solo attraverso la scelta dei giusti investimenti (siano essi fondi di investimento, singoli titoli obbligazionari o azionari, investimenti immobiliari e via dicendo) ma anche attraverso lo sfruttamento adeguato delle agevolazioni fiscali e delle finalità di supporto al reddito che possono offrire i fondi pensione. Il supporto di un consulente finanziario che sappia affiancare l’uso dei fondi pensione ad altre tipologie di investimenti finanziari è di indubbio valore per l’investitore e fonte di maggiore redditività e stabilità degli investimenti nell’immediato e di maggiore serenità per l’età pensionistica.