In questo articolo scopriremo le implicazioni pratiche per le tasche dei risparmiatori italiani della manovra annunciata il 22 Gennaio da Mario Draghi, il cosiddetto QE, Quantitative Easing. Per alcuni potrebbe sembrare un evento lontano, che riguarda i grandi operatori finanziari, in realtà impatta da vicino piccoli e grandi risparmiatori.
Attraverso il QE (una manovra già applicata da diversi anni negli Stati Uniti dalla Fed) la Banca Centrale Europea acquisterà ogni mese, da marzo 2015 a settembre 2016, circa 60 miliardi di euro di titoli finanziari inclusi titoli di stato emessi dai vari paesi dell’area euro, per un totale complessivo di 1.100 miliardi. Questa azione segue la progressiva riduzione, effettuata durante gli anni precedenti dalla BCE, del proprio tasso di riferimento, ormai quasi a zero (0,05%).
La nuova manovra ha diversi effetti economici (per esempio aiuta ad indebolire l’euro nei confronti del dollaro e facilita quindi le esportazioni italiane) ma, per quel che concerne la nostra analisi, riduce ulteriormente i tassi di interesse dei titoli di stato italiani: attualmente i rendimenti sul BTP (Buono del Tesoro Poliennale) a 10 anni, normalmente utilizzato come parametro di riferimento per i tassi d’interesse, si attestano all’ 1,5% annuo (rendimento al lordo delle tasse del 12,5%). Questo, se da un lato riduce per l’Italia il costo del debito pubblico sulle nuove emissioni dall’altro diminuisce anche l’interesse che un risparmiatore potrebbe ottenere acquistando BTP o anche altre obbligazioni societarie italiane nonché i tassi di interesse sui conti deposito. Questi ultimi sono ormai difficilmente sopra l’1,5% e se lo sono vuol dire che chi li offre presenta un maggior rischio (spesso non chiaro al risparmiatore). La stessa regola principe (rischio e rendimento vanno di pari passo in finanza) vige anche per le obbligazioni bancarie che molto spesso i risparmiatori si sentono offrire dalla propria banca quando hanno della liquidità da investire. Per poter offrire rendimenti significativamente più alti rispetto ad un BTP italiano vuol dire che il risparmiatore deve accollarsi un maggior rischio legato a vari fattori come:
1) i titoli sono di una banca locale di piccole/medie dimensioni e non sono quotati su un mercato regolamentato per cui se ho bisogno di venderli prima della scadenza corro il rischio di non trovare un compratore immediato (rischio di liquidità);
2) i titoli sono emessi da una banca meno solida dal punto di vista patrimoniale e quindi hanno minore probabilità di essere rimborsati (rischio di default).
Ne abbiamo citati solo alcuni ma esiste anche un rischio legato a tutte le obbligazioni a cedola fissa siano esse BTP, obbligazioni dell’ENEL o di una banca: il rischio di tasso di interesse. Cosa significa? Alla data di scadenza (se l’emittente non è fallito o non ha rimborsato in anticipo il titolo) le obbligazioni sottoscritte alla pari sono rimborsate per lo stesso ammontare iniziale, tuttavia qualora volessi richiederle prima il valore di rimborso potrebbe essere inferiore poiché se i tassi di interesse salgono il valore di un’obbligazione a cedola fissa scende e il risparmiatore ha il rischio, in caso di bisogno, di dover vendere i titoli a meno dell’importo sottoscritto, incassando una perdita. Inoltre se i tassi salgono non può investire in prodotti con rendimenti maggiori avendo il denaro vincolato (e se vende avrà una perdita come abbiamo spiegato), perdendo delle opportunità di maggior guadagno. Con i tassi ormai ai minimi storici c’è un altissimo rischio di tasso di interesse per chi sottoscrive adesso obbligazioni di questo tipo a medio/lungo termine. C’è una soluzione che riduca o elimini questo rischio? Certo!! La vedremo nel prossimo articolo….